Le ragnatele: i materiali del futuro


Le ragnatele sono un vero e proprio capolavoro di ingegneria e di chimica: non solo può allungarsi fino al 40% prima che si spezzi (l'acciaio, ad esempio, arriva all'8%, il nylon al 20%), ma riesce a resistere persino ai venti di un uragano rimanendo intatta.
Non c'è da stupirsi, quindi, se si è guardato ai ragni e alle ragnatele come possibile fonte di nuovi materiali per moltissime applicazioni diverse.
Si è persino tentato di allevare ragni così come si fa per i bachi da seta, ma si è rivelata impresa impossibile, poiché non sono animali sociali e finiscono per divorarsi fra loro. L'approccio successivo, quindi, è stato quello di studiarne la composizione chimica e tentare di riprodurla sinteticamente; non si è rivelata certo una impresa facile, ma qualche successo negli anni si è raggiunto.

Di cosa sono fatte le ragnatele

Sembrerà forse strano, ma la seta prodotta dai ragni è principalmente composta da proteine.
In realtà ne esistono diversi tipi, non solo a seconda della specie di ragno che la produce, ma anche in base alla funzione che essa dovrà adempiere: quindi quella al centro della tela sarà maggiormente elastica e appiccicosa, quella ai lati ha una maggiore resistenza perché funge da ancoraggio per la struttura, un tipo di seta più dura è prodotta per racchiudervi le uova, e così via.
Chimicamente parlando, quindi, la seta di ragno è formata da fibre proteiche, ovvero lunghe catene di amminoacidi disposte nello spazio in modo peculiare, tale da formare appunto fibre. La composizione di queste fibre è stata studiata andando a identificare quali tipi di amminoacidi sono presenti e in quale quantità, scoprendo non solo che essa varia significativamente da specie a specie, ma anche, come dicevo, nella tela prodotta dallo stesso ragno in momenti diversi e per scopi diversi.

Essenzialmente si può dire che ogni fibra è costituita da un 70-75% di una proteina chiamata fibroina, che è il filamento che possiamo considerare un po' lo scheletro della seta; i due filamenti di fibroina sono tenuti insieme e avvolti da sericina che svolge la funzione di rivestimento, ma anche di lubrificante e inoltre promuove il processo biologico di avvolgimento.
Inizialmente il ragno produce una soluzione acquosa molto concentrata in cui sono presenti le due proteine, successivamente grazie a un meccanismo di regolazione del pH e degli ioni metallici presenti nella soluzione, si innesca un processo di gelificazione, in cui le proteine assumono una conformazione detta a foglietto beta, che dà forma alla fibra, e la soluzione diventa man mano più viscosa.
La regolazione del pH è inoltre estremamente importante per la conservazione della seta una volta espulsa, infatti essendo composta da proteine in soluzione acquosa, un basso pH impedisce che il materiale sia attaccato da muffe e funghi. In parole povere, l'ambiente acido fa sì che la ragnatela non marcisca.
La complessità e la grande varietà nella composizione della seta di ragno è ciò che la rende un materiale tanto straordinario, ma è anche il motivo per cui è così difficile riprodurla in laboratorio.


Ragnatele artificiali

Un gruppo di ricerca dell'Università di Cambridge è riuscito a produrre in laboratorio un qualcosa di molto simile alla seta di ragno con proprietà per certi versi anche superiori alla fibra naturale.
Le fibre sono importantissime a livello industriale, basti pensare al ruolo che il nylon ha avuto e continua ad avere nell'economia globale, ma la sintesi di questi polimeri è spesso accompagnata da un grande uso di solventi organici o alla presenza di alte temperature durante il processo. 
Uno dei motivi per cui si è guardato ai ragni per la sintesi di fibre resistenti è quindi anche la capacità di questi animali di produrre polimeri dalle proprietà estremamente utili utilizzando un mezzo acquoso e a temperatura ambiente, cosa che in un momento storico in cui si guarda sempre più a una produzione sostenibile ed eco-compatibile, è di estremo interesse.


http://www.pnas.org/content/114/31/8163/tab-figures-data

Partendo quindi da un materiale chiamato idrogel, composto prevalentemente di acqua (98%) e in minima parte da silice e cellulosa, i ricercatori hanno sintetizzato un bio-polimero che hanno denominato supramolecular polymer–colloidal hydrogel (SPCH)
Il trucco è stato quello di inserire nanoparticelle di silice all'interno del sistema colloidale, in modo che queste fungessero da assemblatrici per l'intera struttura. Questo ha permesso al SPCH di avere proprietà meccaniche incredibili, come ad esempio una capacità di smorzamento (cioè la capacità di un materiale di essere sottoposto a stress meccanico) che aumenta di più del 60% dopo alcuni cicli di allungamento e restringimento.




Bibliografia:

  • Fu, C., Shao, Z. & Vollrath, F. - Animal silks: their structures, properties and artificial production. Chemical Communications, (43): 6515-6529 
  • Bioinspired supramolecular fibers - Yuchao Wu, Darshil U. Shah, Chenyan Liu, Ziyi Yu, Ji Liu, Xiaohe Ren, Matthew J. Rowland, Chris Abell, Michael H. Ramage, Oren A. Scherman - Proceedings of the National Academy of Sciences Aug 2017, 114 (31) 8163-8168




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