mercoledì 31 ottobre 2018

Le ragnatele: i materiali del futuro


Le ragnatele sono un vero e proprio capolavoro di ingegneria e di chimica: non solo può allungarsi fino al 40% prima che si spezzi (l'acciaio, ad esempio, arriva all'8%, il nylon al 20%), ma riesce a resistere persino ai venti di un uragano rimanendo intatta.
Non c'è da stupirsi, quindi, se si è guardato ai ragni e alle ragnatele come possibile fonte di nuovi materiali per moltissime applicazioni diverse.
Si è persino tentato di allevare ragni così come si fa per i bachi da seta, ma si è rivelata impresa impossibile, poiché non sono animali sociali e finiscono per divorarsi fra loro. L'approccio successivo, quindi, è stato quello di studiarne la composizione chimica e tentare di riprodurla sinteticamente; non si è rivelata certo una impresa facile, ma qualche successo negli anni si è raggiunto.

Di cosa sono fatte le ragnatele

Sembrerà forse strano, ma la seta prodotta dai ragni è principalmente composta da proteine.
In realtà ne esistono diversi tipi, non solo a seconda della specie di ragno che la produce, ma anche in base alla funzione che essa dovrà adempiere: quindi quella al centro della tela sarà maggiormente elastica e appiccicosa, quella ai lati ha una maggiore resistenza perché funge da ancoraggio per la struttura, un tipo di seta più dura è prodotta per racchiudervi le uova, e così via.
Chimicamente parlando, quindi, la seta di ragno è formata da fibre proteiche, ovvero lunghe catene di amminoacidi disposte nello spazio in modo peculiare, tale da formare appunto fibre. La composizione di queste fibre è stata studiata andando a identificare quali tipi di amminoacidi sono presenti e in quale quantità, scoprendo non solo che essa varia significativamente da specie a specie, ma anche, come dicevo, nella tela prodotta dallo stesso ragno in momenti diversi e per scopi diversi.

Essenzialmente si può dire che ogni fibra è costituita da un 70-75% di una proteina chiamata fibroina, che è il filamento che possiamo considerare un po' lo scheletro della seta; i due filamenti di fibroina sono tenuti insieme e avvolti da sericina che svolge la funzione di rivestimento, ma anche di lubrificante e inoltre promuove il processo biologico di avvolgimento.
Inizialmente il ragno produce una soluzione acquosa molto concentrata in cui sono presenti le due proteine, successivamente grazie a un meccanismo di regolazione del pH e degli ioni metallici presenti nella soluzione, si innesca un processo di gelificazione, in cui le proteine assumono una conformazione detta a foglietto beta, che dà forma alla fibra, e la soluzione diventa man mano più viscosa.
La regolazione del pH è inoltre estremamente importante per la conservazione della seta una volta espulsa, infatti essendo composta da proteine in soluzione acquosa, un basso pH impedisce che il materiale sia attaccato da muffe e funghi. In parole povere, l'ambiente acido fa sì che la ragnatela non marcisca.
La complessità e la grande varietà nella composizione della seta di ragno è ciò che la rende un materiale tanto straordinario, ma è anche il motivo per cui è così difficile riprodurla in laboratorio.


Ragnatele artificiali

Un gruppo di ricerca dell'Università di Cambridge è riuscito a produrre in laboratorio un qualcosa di molto simile alla seta di ragno con proprietà per certi versi anche superiori alla fibra naturale.
Le fibre sono importantissime a livello industriale, basti pensare al ruolo che il nylon ha avuto e continua ad avere nell'economia globale, ma la sintesi di questi polimeri è spesso accompagnata da un grande uso di solventi organici o alla presenza di alte temperature durante il processo. 
Uno dei motivi per cui si è guardato ai ragni per la sintesi di fibre resistenti è quindi anche la capacità di questi animali di produrre polimeri dalle proprietà estremamente utili utilizzando un mezzo acquoso e a temperatura ambiente, cosa che in un momento storico in cui si guarda sempre più a una produzione sostenibile ed eco-compatibile, è di estremo interesse.


http://www.pnas.org/content/114/31/8163/tab-figures-data

Partendo quindi da un materiale chiamato idrogel, composto prevalentemente di acqua (98%) e in minima parte da silice e cellulosa, i ricercatori hanno sintetizzato un bio-polimero che hanno denominato supramolecular polymer–colloidal hydrogel (SPCH)
Il trucco è stato quello di inserire nanoparticelle di silice all'interno del sistema colloidale, in modo che queste fungessero da assemblatrici per l'intera struttura. Questo ha permesso al SPCH di avere proprietà meccaniche incredibili, come ad esempio una capacità di smorzamento (cioè la capacità di un materiale di essere sottoposto a stress meccanico) che aumenta di più del 60% dopo alcuni cicli di allungamento e restringimento.




Bibliografia:

  • Fu, C., Shao, Z. & Vollrath, F. - Animal silks: their structures, properties and artificial production. Chemical Communications, (43): 6515-6529 

giovedì 11 ottobre 2018

Matto come un cappellaio: il Mercurio e Lewis Carroll


Alice aveva sbirciato da sopra la spalla del Leprotto Marzolino con una certa curiosità. 
«Che buffo orologio!» osservò. «Dice qual è il giorno del mese, ma non dice l'ora!»
«Perché dovrebbe?» brontolò il Cappellaio. «Forse che il tuo orologio ti dice in che anno siamo?»
«No, naturalmente» rispose Alice con prontezza; «ma è perché ci sta tanto a lungo dentro lo stesso anno».
«E questo è esattamente il caso del mio orologio» disse il Cappellaio.
Alice era terribilmente perplessa. Non c'era alcun dubbio che il Cappellaio parlasse la sua stessa lingua, eppure quel discorso non aveva per lei alcun senso.

[Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie - Lewis Carroll]


Sicuramente il capolavoro di Lewis Carroll ha bisogno di poche presentazioni: fra il film di animazione Disney, il più recente di Tim Burton e svariati altri film per la tv, tutti conosciamo Alice, lo Stregatto, la Regina di Cuori e, naturalmente, il Cappellaio Matto.
Un personaggio che ha sempre lasciato il segno nei cuori dei lettori e degli spettatori, tanto da essere diventato ben più famoso della protagonista Alice e praticamente il simbolo del Paese delle Meraviglie, con la sua tuba altissima, le frasi sconnesse e la mania tutta sua per tè e orologi.
Matto come un cappellaio tra l'altro, è una frase di uso comune e lo era ancora di più nell'ottocento, l'epoca in cui Charles Dodgson, vero nome di Lewis Carroll, scriveva il suo iconico romanzo, questo perché la pazzia era, possiamo dire, una malattia professionale per i cappellai dell'epoca, che soffrivano di moltissimi sintomi psichici e fisici dovuti proprio alle sostanze chimiche usate per fabbricare i cappelli di feltro così di moda in epoca vittoriana.

Il Mercurio: un metallo magico

Prima di tutto c'è da parlare di lui: il Mercurio.

Simbolo Alchemico
del Mercurio
Questo elemento ha sempre esercitato un grande fascino sugli uomini: è un metallo dalla brillantezza simile all'argento, ma è liquido a temperatura ambiente, cosa che non accade per nessun altro metallo pesante.
Fin dall'antichità gli si attribuivano quindi proprietà magiche, si riteneva che allungasse la vita, che curasse le fratture e che conservasse la salute.
Dal nome indù del Mercurio deriva la parola alchimia e in questa pratica a metà fra la scienza e la magia il Mercurio giocava un ruolo fondamentale: rappresentava infatti l'anima (dove invece lo zolfo era lo spirito e il sale la materia) ed era considerato uno degli elementi originari da cui discendevano acqua, fuoco, terra e aria.
Nel Medioevo, inoltre, era associato agli Unicorni, creature mitiche simbolo di purezza.
Oggi sappiamo invece che il Mercurio, il cui simbolo è Hg, fa parte dei metalli di transizione (si trova cioè nella parte centrale della Tavola Periodica), ha numero atomico 80, che è l'unico metallo a essere liquido a temperatura ambiente e che è fortemente tossico, soprattutto sotto forma di metilmercurio [CH3Hg]+.


I cappellai dai capelli arancioni

Fabbricare un cappello nell'ottocento era un lavoro lungo e certosino: prima di tutto si sceglieva la pelliccia di un piccolo animale, spesso si optava per le lepri perché erano di facile reperimento e non costavano molto, dopo di che si passava alla fase detta di carotatura, cioè si immergeva la pelliccia in una soluzione arancione di nitrato di mercurio la quale faceva staccare il pelo dalla pelle, e le donava una particolare resistenza ed impermeabilità. 
Se avete visto il film di Tim Burton Alice in Wonderland sicuramente ricorderete che Johnny Depp, interprete del Cappellaio, ha una bizzarra capigliatura arancione. 
Questo non è del tutto frutto della fantasia del regista, infatti accadeva spesso che i cappellai provassero i cappelli sulle loro teste prima che fossero foderati con raso o seta, perciò il nitrato di mercurio usato per la carotatura veniva a contatto con le loro teste e i loro capelli che, col tempo, a volte assumevano proprio una colorazione arancione.



Avvelenamento da mercurio: la sindrome del cappellaio matto

La pazzia dei cappellai è stata una questione molto studiata fin dalla fine dell'ottocento.
Già nel 1938 apparve chiaro come i colpevoli per i sintomi sperimentati dei cappellai, quali tremori, cambiamenti nel comportamento e riflessi esagerati, fossero causati dall'inalazione dei vapori di Mercurio a cui erano esposti a causa della loro professione.
Il Mercurio elementare veniva assorbito tramite la pelle e i polmoni ed entrava in circolo nel sistema vascolare, da cui riusciva facilmente a raggiungere il cervello. 
Qui si accumulava, causando ingenti danni alle cellule nervose: il Mercurio attacca e disattiva, infatti, dei composti contenenti zolfo all'interno delle cellule, questo provoca a sua volta una disattivazione dei mitocondri, organelli cellulari indispensabili affinché la cellula possa produrre energia e funzionare correttamente; così danneggiata, infine, la cellula cerebrale si distrugge, provocando grandissimi danni al sistema nervoso del povero cappellaio che sperimenta cambiamenti di umore e di personalità, tremori, depressione e molti altri sintomi che identificano l'avvelenamento cronico da Mercurio.



Una sindrome così caratteristica e diffusa da aver ispirato uno dei personaggi più iconici della letteratura, ma che nella realtà ha determinato una quantità incredibile di danni per decenni, fino a che la moda non è cambiata e, soprattutto, la ricerca scientifica non ha fatto luce su un elemento tanto affascinante quanto pericoloso come il Mercurio.



Bibliografia: