I segreti del piccante


Fra le tante spezie e piante amate dalle cucine di tutto il mondo, sicuramente un posto importante spetta al Peperoncino, una pianta facente parte della famiglia delle Solanacee (a cui appartiene anche il peperone) e portata nel nostro continente dalle Americhe da Cristoforo Colombo di ritorno dal suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo.
Certo, non tutti riescono a sopportare una quantità di peperoncino troppo elevata, spesso la sensazione di piccante è dolorosa, eppure è davvero difficile trovare qualcuno che, in quantità diverse, non ne apprezzi l'aroma e non ne metta un pizzico per ravvivare un piatto, tanto che si stima che ben un quarto della popolazione mondiale lo consumi quasi giornalmente.

Ma che cos'è il piccante? Da cosa dipende? E come si fa a valutare se un peperoncino è più piccante di un altro?

La capsaicina: una molecola infuocata

La responsabile del piccante del peperoncino è una molecola della famiglia dei vanilloidi, la Capsaicina
Fu scoperta e isolata per la prima volta nel 1816 da Bucholtz, ma fu nel 1846 che l'ungherese Endre Hyoges la isolò e le diede questo nome. Si è però dovuto aspettare fino al 1919 prima che la sua esatta struttura fosse determinata e poi sintetizzata in laboratorio dieci anni dopo.
Questa molecola, contrariamente a quanto si pensa, è quasi assente nei semi, mentre è particolarmente abbondante nella buccia del peperoncino e nella polpa e ha un'azione molto particolare su alcuni recettori presenti sulla lingua (ma non solo, si trovano anche in altre zone del corpo come gli occhi e altre più "delicate").

struttura della capsaicina



Quello che fa la capsicina è legarsi a dei recettori, chiamati VR (vanilloid receptors), delle proteine che si trovano sulla membrana cellulare e che fungono da porte per lasciar entrare e uscire principalmente ioni calcio. Questi recettori sono estremamente sensibili al calore e si attivano a temperature maggiori di 43°C, ma in presenza della capsaicina lo stimolo avviene anche a temperatura ambiente. Ecco il motivo per cui mangiare un peperoncino ci fa andare a fuoco la bocca, perché il nostro cervello viene ingannato e percepisce un calore doloroso che in realtà non esiste.
Nonostante il primo impulso sia quello di mandare giù un enorme bicchiere d'acqua, non è questo il metodo più efficace per combattere il bruciore da piccante, perché la capsaicina non è solubile in acqua. La soluzione migliore sarebbe quello di ingerire dei grassi, come olio o latte, oppure mangiare dello zucchero. Un altro metodo che può aiutare è quello di mangiare del pane che rimuove meccanicamente la capsaicina dalla bocca.

Peperoncino Habanero
350.000 sulla Scala Scoville
Nel 1912 il chimico statunitense Wilbur Scoville introdusse un test organolettico per quantificare la piccantezza di un peperoncino, chiamato proprio Scala Scoville. 
Questa scala dà arbitrariamente alla capsaicina pura un valore pari a 16.000.000 e assegna poi gli altri valori misurando quante volte bisogna diluire una soluzione di acqua e capsaicina prima che il piccante non venga più avvertito (si utilizzavano in genere 5 assaggiatori). Ad esempio per un valore di 15.000 vuol dire che l'estratto di quel peperoncino deve essere diluito per 15.000 volte prima che il piccante sia del tutto assente.
Al giorno d'oggi il test di Scoville è stato abbandonato dall'industria alimentare in favore di tecniche più moderne e più precise rispetto all'assaggio da parte di un certo numero di persone, comunque non solo la Scala Scoville è tutt'ora usata nella classificazione dei vari peperoncini, ma in laboratorio si usa ancora assaggiare personalmente la soluzione di acqua e capsaicina per assegnarle il valore di Scoville.

I mille usi della capsaicina: presente e futuro

L'uso sicuramente più comune e conosciuto della capsaicina è quello per applicazione topica contro i dolori da artrite e reumatici. Come abbiamo detto, l'effetto piccante è dovuto alla stimolazione di particolari recettori, i VR, questi recettori però dopo una stimolazione prolungata molto intensa, si disattivano, con una desensibilizzazione della terminazione nervosa a causa dello stop nella produzione di una proteina chiamata PIP2.

pomata alla capsaicina per uso topico

Ci sono inoltre tantissimi studi per valutare le possibili applicazioni della capsaicina in ambito farmacologico: 

  • Come antiinfiammatorio perché va a inibire la produzione di alcune proteine coinvolte nell'infiammazione

  • Nel controllo dell'insulina

  • Nel controllo del peso

  • Come antiossidante

Un'interessante prospettiva venuta fuori negli ultimi anni è anche quella che vede la capsaicina come un fattore antitumorale: non solo ha un'azione antiossidante, ma alcuni studi hanno evidenziato come un accumulo di capsaicina nelle cellule malate moduli il metabolismo dei lipidi e inibisca il funzionamento dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, di fatto provocandone la morte. 

Rimane ancora moltissima ricerca da fare e i risultati ottenuti, sebbene promettenti, non permettono di fare alcuna conclusione, ma certo la capsaicina non cessa mai di riservare sorprese.





Fonti:

  • Story GM, Crus-Orengo L, Feel the burn, American Scientist, vol. 95, nº 4, luglio–agosto 2007, pp. 326–333
  • Vanilloid (Capsaicin) Receptors and Mechanisms, Arpad Szallasi and Peter M. Blumberg, Pharmacological Reviews June 1999, 51 (2) 159-212
  • Panchal, S.K.; Bliss, E.; Brown, L. Capsaicin in Metabolic Syndrome. Nutrients 2018, 10, 630
  • A Comprehensive Review of the Carcinogenic and Anticarcinogenic Potential of Capsaicin, Keith Bley, Gary Boorman, Bashir Mohammad, Donald McKenzie, and Sunita Babbar,Toxicologic Pathology, Vol 40, Issue 6, pp. 847 - 873, First Published May 4, 2012 

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