La chimica dei colori: il blu




 Benvenuti su La chimica dei colori.
Dopo una introduzione in cui vi ho parlato di come si definiscono i colori e dello spettro della luce visibile, veniamo ad argomenti probabilmente più interessanti e pratici e al primo approfondimento su un colore in particolare: il blu.

Definizione di blu


Il blu è uno dei colori percepibili dall’uomo, appartenente pertanto allo spettro del visibile, situato a circa 470 nm fra il ciano e il violetto.

Nella pittura è sempre stato considerato un colore primario, ma secondo la moderna teoria dei colori questo non è corretto, essendo i colori primari il ciano, il magenta e il giallo.

È un colore storicamente molto apprezzato, in particolare dagli antichi Egizi, ma anche dai pittori medievali nonostante fosse molto difficile da reperire e pertanto riservato alla raffigurazione di Cristo o della Vergine, come simbolo di purezza e divinità.

Non era invece molto popolare fra Gregi e Romani, in quanto veniva associato al colore azzurro degli occhi dei barbari.

Un piccolo excursus: coloranti, pigmenti e lacche


Prima di lanciarci nella storia di questo colore, è utile dare qualche definizione che ci aiuti a capire la differenza fra i diversi tipi di sostante colorate utilizzate dall’uomo.


I pigmenti sono generalmente i più comuni, in particolare se si parla di arte pittorica. Sono chiamati anche “terre” in quanto sono costituiti da polveri di varia natura (più spesso di origine minerale) insolubili nel mezzo in cui sono utilizzate, che vengono applicate tramite dispersione meccanica.


I coloranti invece sono sostanze organiche (possono essere sia naturali che di sintesi) solubili in un solvente. Essi si legano direttamente alle molecole dell’oggetto da colorare (ad esempio un tessuto) e impartiscono una colorazione stabile non solo superficiale ma su tutta la massa.


Le lacche, infine, sono pigmenti ottenuti rendendo insolubili dei coloranti, o precipitandoli come sali insolubili di cationi metallici o, a seconda della natura del colorante, facendoli reagire con poliacidi complessi.

Il blu: un colore difficile da trovare


Nell’antichità il grande problema del blu fu la sua reperibilità. La fonte principale per il pigmento blu fu il Lapislazzulo, i cui giacimenti si trovavano dove ora sorge il moderno Afganistan, o il più abbondante minerale Azzurrite, un carbonato di rame che però presentava dei problemi di stabilità.

Lapislazzulo
 
La vera svolta avvenne nell’Antico Egitto, grazie a quello che è passato alla storia come Blu Egizio, quello che può essere considerato il primo pigmento di sintesi della storia.

La sua formula chimica è (CaCuSi4O10) e la sua produzione iniziò più di 5200 anni fa e fu conosciuto anche da Greci e Romani e persino in Mesopotamia.

Manufatto dipinto con il Blu Egizio

La sua sintesi partiva da materiali facilmente accessibili come il limo, la sabbia e minerali quali azzurrite o malachite, ma non sappiamo come questa produzione fu iniziata e perfezionata fino ad arrivare al prodotto che è giunto fino a noi, sappiamo però che per oltre 4000 anni la sua composizione è rimasta invariata e che quindi si può presumere che gli antichi egizi arrivarono ben presto alla formula definitiva. In ogni caso la sintesi di questo pigmento comportava anche l’aggiunta di additivi come sale o cenere di papiro, e un controllo costante della temperatura, che doveva mantenersi sempre fra gli 800° C e i 900° C, e considerando che all’epoca non si disponevano di strumenti per misurarla come i termometri, non doveva essere affatto un compito facile.

Simile al Blu Egizio è quello che viene chiamato Han Blu, un pigmento rinvenuto in Cina e che presenta con il più famoso fratello occidentale, una struttura chimica che differisce unicamente per la presenza del Bario (Ba) al posto del Calcio (Ca).
Generico MCuSi4O10

Dopo la caduta dell'Impero Romano, il Blu Egizio praticamente scomparve dall’arte, fino ai tempi moderni dove è stato riscoperto dagli archeologi e riprodotto in laboratorio dai chimici.

Più che per le sue doti artistiche, però, questo pigmento è oggi studiato per le sue caratteristiche chimico-fisiche molto interessanti: la sua struttura cristallina particolare fa sì che riesca ad assorbire radiazioni infrarosse.

Una frase del genere potrebbe non voler dire nulla a chi non è del mestiere, ma in realtà è una caratteristica importantissima e che può portare a moltissime applicazioni in vari campi.

Il primo e più comune è quello sempre crescente della diagnostica dei beni culturali, cioè quella scienza che si occupa di esaminare opere d’arte o reperti archeologici per stabilirne le caratteristiche, la provenienza, l’epoca storica o per valutarne l’autenticità. Naturalmente questo lavoro è molto delicato e la ricerca di metodi che riescano a trarre molte informazioni senza che l’oggetto in esame venga rovinato è sempre aperta. Fortuna vuole che questo antico pigmento, così comune in reperti di epoca egizia sia visibile a strumenti che emettono radiazioni Infrarosse e che quindi possa essere riconosciuto facilmente e senza andare ad intaccare in alcun modo l’oggetto.

L’assorbimento di radiazione IR, comunque, è una porta aperta anche sul mondo delle comunicazioni e delle tecnologie ad esse legate, e lo studio del pigmento Blu Egizio si muove anche in quella direzione, chissà se fra qualche anno non avremo fibre ottiche o computers fatti proprio di questo materiale!

Il blu nei secoli


Come ho detto, dopo la caduta dell’Impero Romano, del Blu Egizio si perde ogni traccia. Durante il Medioevo il blu diventa un colore estremamente raro e l’unica fonte era rappresentata dall’Acquamarina, un minerale molto prezioso. Nel Rinascimento pertanto il blu divenne simbolo di purezza associato al mantello della Vergine Maria, o di divinità associato alla figura di Cristo.

Bisogna aspettare il 1704 prima di avere un primo pigmento di sintesi, il cosiddetto Blu di Prussia: venne scoperto casualmente da Diesbach che stava tentando di sintetizzare un pigmento rosso utilizzando sali di potassio e alcali. Questo è un sale di Ferro, per la precisione un ferrocianuro ferrico, ed è utilizzato spesso nei saggi per la determinazione della presenza di cianuro o come chelante nel trattamento di avvelenamento da metalli pesanti. È il colore nazionale francese ed era usato per colorare le uniformi degli eserciti napoleonici.

Blu di Prussia

Grandissima importanza storicamente ha avuto il Cobalto per la produzione di pigmenti blu sintetici, in combinazione di ossido con alluminio, fosforo, zinco e altri materiali per dare una grande varietà di sfumature.
Indigofera Tinctoria
Infine è impossibile non nominare l’Indaco: non è un pigmento, ma un colorante estratto dalla pianta Indigofera Tinctoria; all’interno di questa pianta vi è il precursore dell’indaco, l’indacano, il quale viene privato del glucosio tramite un enzima e infine ossidato all’aria per dare l’indaco. La tintura della stoffa si ha pertanto immergendola in una soluzione di indacano ed enzima (che è incolore o leggermente giallina) e lasciandola poi asciugare all’aria. I tessuti tinti con questo colorante, grazie proprio al metodo usato, non tendono a scolorire come quelli tinti con altri coloranti.

 

Bluetiful


Dopo la sintesi del Blu Cobalto (1802) sono passati più di 200 anni prima che si sintetizzasse una nuova tonalità di blu: l’YInMn Blue (Y=Ittrio ; In=Indio; Mn=Manganese).

Noto anche come Mas Blue, è un pigmento inorganico blu scoperto per caso dallo studente Andrew Smith nel laboratorio del professor Mas Subramanian presso l'Università statale dell'Oregon nel 2009. Smith stava effettuando degli esperimenti per ottenere una fibra ad alta conducibilità elettrica mediante ossidi di Ittrio, Manganese e Indio. Dopo averli messi in forno a quasi 1200° F (circa 649°C) ottenne un impasto che non aveva le proprietà richieste, ma che era di colore blu brillante e che rifletteva in modo insolito la radiazione IR.

YInMn Blue o Mas Blue

Questo nuovo pigmento era inoltre privo di tossicità (a differenza del blu cobalto o del blu di prussia), incredibilmente stabile e la sua capacità di riflettere l’infrarosso lo faceva essere meno soggetto a riscaldamento e quindi adatto a essere usato come vernice per automobili o nel restauro dei dipinti.

Dopo la scoperta, è stato aperto al pubblico un concorso per poter stabilire un nome commerciale di questa nuova tonalità e alla fine l’azienda di pennarelli Crayola, nel 2017, lo ha finalmente commercializzato con il nome vincitore: Bluetiful.




 

 

Bibliografia:

  • Berke, Heinz. "Chemistry in ancient times: the development of blue and purple pigments." Angewandte Chemie International Edition 41.14 (2002): 2483-2487.
  • J.R. Barnett et al. / Optics & Laser Technology 38 (2006) 445–453
  • Philip McCouat, "Egyptian blue: the colour of technology", www.artinsociety.com
  • Accorsi, Gianluca, et al. "The exceptional near-infrared luminescence properties of cuprorivaite (Egyptian blue)." Chemical Communications 23 (2009): 3392-3394.
  • García-Fernández, Pablo, Miguel Moreno, and José Antonio Aramburu. "Origin of the exotic blue color of copper-containing historical pigments." Inorganic chemistry 54.1 (2014): 192-199.
  • http://www.artspecialday.com/9art/2017/05/20/la-scoperta-yinmn-blue/
  • https://it.wikipedia.org/wiki/YInMn_Blue

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